Il P.M. (della Procura della Repubblica di Napoli) Henry John WOODCOCK…, l’ha definita avvocatella in una richiesta di archiviazione

L’AVVOCATO ANNA MARIA CARAMIA DI MASSAFRA (TA) HA SCRITTO UNA NOTA IL 31 MARZO 2022 INDIRIZZATA A: PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA, C.S.M. (CONS. SUPERIORE MAGISTRATURA), MINISTRO DELLA GIUSTIZIA, ISPETTORATO GENERALE MINISTERO, PROCURATORE GENERALE C/O CASSAZIONE, ED ANCHE P.C. ALLE PROCURE DELLA REPUBBLICA DI NAPOLI, SALERNO, CATANZARO, POTENZA, C.N.F. (CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE) ED AI RESPONSABILI DEGLI ORGANI DI STAMPA

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“Illustri destinatari tutti, ognuna per la propria competenza oggi vi racconto una storia, quella di un famoso P.M., Henry John WOODCOCK, e della sua povera avvocatella, cioè io – Anna Maria Caramia (c.f. CRM NMR 69B61 E986K) nata nella provincia di Taranto ben 53 anni fa. Il nomignolo avvocatella non è frutto della mia di fantasia, l’ho letto nella richiesta di archiviazione che il P.M. WOODCOCK che formulato nell’ambito del p.p. 5614/2022 R.G.n.r. (rinveniente dalla trasformazione del procedimento a modello 45 che è stato iscritto a seguito della denuncia che il 5 giugno 2020 ho depositato a Napoli, dopo un cammino a piedi di ben 322 chilometri)”. Lo ha scritto il legale pugliese in una nota del 31 marzo 2022, destinata a: Presidente della Repubblica, C.S.M. (Cons. Superiore Magistratura), Ministro della Giustizia, Ispettorato Generale Ministero, Procuratore Generale c/o Cassazione, ed anche p.c. alle Procure della Repubblica di Napoli, Salerno, Catanzaro, Potenza, al C.N.F. (Consiglio Nazionale Forense) ed ai responsabili degli Organi di Stampa.

Ha evidenziato questo l’avvocatessa:

  • eccone lo screenshot: “è un errore, avrà voluto scrivere avvocatessa?” – mi sono subito domandata. “Non può esserlo un errore” – è stata la risposta, anche dopo aver visto la tastiera del pc ed aver notato come le lettere L ed S si trovino agli antipodi! E così questo epiteto diventa l’occasione per ripercorrere una vicenda giudiziaria scomoda nella quale esso (epiteto) ha trovato ingresso. Come un nastro che si riavvolge, parto dalla fine per arrivare all’avvio di questa vicenda che è iniziata il 24 maggio 2020 allorché, uscita dal mio studio alle 17 circa, ho iniziato a camminare a piedi diretta verso la procura della città partenopea. Attraverso la mia maratona durata 11 giorni, ho voluto accendere un riflettore sulla giustizia com’è oggi, sovente molto più simile ad una truffa che alla più alta delle funzioni che ogni comunità deve avere in sé, onde siano garantite pace e democrazia. Sono ormai quasi 15 anni che, dopo una difesa fastidiosa1 in cui ho toccato interessi che non avrei dovuto nemmeno sfiorare, mi tocca resistere alle aggressioni che la casta dei magistrati non disdegna regalarmi in ogni dove, avendo trasformato la mia vita professionale (e quotidiana) in una trincea permanente. Forse 15 anni fa, dopo che quel velo di sacralità che vedevo sulla Giustizia si era squarciato, avrei dovuto lasciare tutto e cambiare lavoro; però non l’ho fatto perché tra i vizi che ho c’è anche quello di non arrendermi mai… accidenti a me. Tanti abusi sfacciati, tante violenza e sofferenza, molte denunce ma nessun accertamento dei fatti e nessuna sanzione per chi, a cuor leggero e con tanta stupidità, mette mano nelle vicende che mi riguardano e che tratto io. Ma torno all’avvocatella e a quanto è accaduto solo due giorni fa! Ho naturalmente predisposto opposizione all’archiviazione – omettendo ogni tono polemico sull’epiteto avvocatella – e, avendo scorto che tra gli indirizzi p.e.c. istituzionali non c’era quello per il deposito dell’atto che io ho predisposto, non avendo nominato ancora nessun avvocato per conservare la libertà di dire come a me piace, per evitare i soliti escamotage di inammissibilità per errore nell’invio, mi sono recata personalmente a Napoli per depositarlo (così trasformando in ben 4 i miei fuoriporta nella città dei mille colori). Una volta lì, sono andata in Procura e dopo aver compreso che dovevo entrare dal pedonale del pubblico, ho suonato al citofono di un cancello chiuso. Alla seconda suonata ho sentito un ‘pronto’ come se avessi citofonato ad una qualunque casa privata e non alla più grande Procura d’Italia; mi è parso strano, ma ho risposto alle domande ed ho precisato che ero lì per depositare un’opposizione all’archiviazione. La poliziotta di turno ha voluto conoscere il numero del procedimento e, tra il mio stupore che cresceva a dismisura, ho atteso che ella venisse verso di me, che nel frattempo rimanevo con le carte in mano, fuori dal cancello della Procura;
  • per velocizzare il tutto, non ho avuto problemi a darle l’intero fascicoletto che avevo e nel quale c’era l’atto da depositare; ho dovuto attendere circa 15 minuti fuori. All’esito la poliziotta mi ha risposto così: “ha visto che ho fatto bene a non farla entrare, non è qui che deve depositare, ma deve andare all’Ufficio T.I.A.P.”. La cosa mi è parsa strana, ma non ho avuto problemi ad andarci, pensando che forse lì avrei trovato un apposito ufficio organizzato per l’incombente (nell’ambito della prassi organizzativa di una Procura, ci poteva stare). E invece no, al T.I.A.P. mi hanno guardata straniti e mi hanno detto che lì non si depositava nulla! Ho fatto ritorno davanti alla Procura e, solito rituale del citofono, ho ottenuto nuovamente che non mi hanno fatto entrare e mi hanno rimandata di nuovo al T.I.A.P., facendo aumentare a dismisura il mio disappunto, nel fluire del tempo che avviava alla chiusura degli uffici. Ho chiesto di parlare con il procuratore (a cui nelle more scrivevo p.e.c.) e finanche ho detto ai militari posti a presidio di arrestarmi e portarmi dentro quel palazzo (tanto più che è da tempo che ci provano), ma non c’è stato niente da fare. Sono tornata all’interno delle tre torri, dove nessuno sapeva darmi indicazioni se non quella che conoscevo già e per cui si depositava in Procura. Fino alla fine, grazie ad un dirigente perbene, ho ottenuto interessamento e, chiamata una Collega della Procura, mi ci ha mandata… e non nascondo che con terrore ho appreso di dover tornare lì, davanti a quel cancello della Procura, da sola, aggiungendo: “la prego, la prego mi accompagni lei, lì non mi fanno entrare lì”;
  • la terza volta in Procura, dopo aver percorso circa 6,5 chilometri facendo avanti e dietro dai due palazzi adiacenti, nel tempo di 2,5 ore, mi hanno fatto entrare ed ho effettuato il deposito. Ero pronta a sporgere denuncia dell’occorso (e se non lo avevo ancora fatto era perché non avevo trovato davanti ai piedi il commissariato), ma poi ho omesso di procedere per evitare che a ‘pagare’, come spesso accade, fosse l’ultimo anello della catena, cioè la poliziotta addetta al citofono (che accompagnandomi mi spiegava che aveva solo ubbidito agli ordini ricevuti). No, non chiedo la punizione di nessun responsabile per l’occorso relativo al deposito del mio atto, ma la chiedo, l’ho chiesta e la chiederò ancora per chi la sostanza della Giustizia la umilia, amministrandola come se fosse una cosa sua;
  • ed ora passo a un breve cenno di quello che è il merito della vicenda dell’avvocatella… “la mia vicenda è la classica storia di chiunque si è visto costretto a denunciare un magistrato e, non sapendolo, è entrato nel ginepraio degli insabbiamenti, delle omissioni, degli abusi, degli attacchi e delle trappole, dei procedimenti penali e di quelli disciplinari, a iosa. Io non lo sapevo proprio che i giudici non ne commettono reati e soprattutto che non vanno denunciati, lo giuro che non lo sapevo. All’epoca della mia prima denuncia credevo ancora in quel brocardo “la legge è uguale per tutti”, e ci credevo forse perché non era (e non è) ancora stato rimosso dai tribunali ed io lo vedevo lì e pensavo che fosse così com’è scritto. Ora non ci credo più per nulla, ma sono andata un po’ troppo avanti per tornare indietro… ed allora preferisco, per coerenza, crederci ancora! Io mi ritrovo a Napoli perché ho osato denunciare due/tre giudici di Taranto che non solo hanno spudoratamente e vigliaccamente trattato le mie vicende, esercitando abuso su abuso, ma che me lo hanno anche detto che erano certi che la magistratura avrebbe dato loro ragione e che si sarebbe visto come sarebbero finite le mie denunce, cioè nel nulla. E in questo, sino ad ora, hanno avuto ragione; anche se la loro è solo la ragione tipica del c.d. mondo al rovescio, dove tutto è al contrario di come dovrebbe essere! Io sono ancora qui e ancora disposta a lottare, per me e per chi difendo, e sia pure omettendo ciò che è troppo forte (ma di cui custodisco traccia), ho sempre segnalato e continuerò a farlo (anche con questa che, in ordine di tempo, è l’ultima). Al fine di consentire a chi non conosce di saperne un po’ di più, allego, in cartella zip, solo tre note che un’idea la danno su quanto io dico (doc. 1, 2 e 3). In sintesi, è accaduto che la mia prima denuncia è stata iscritta a modello 45, con destino archiviazione, senza avvedersi dei miei diritti e della gravità dei fatti. All’esito, non potendo fare altro che segnalare la condotta dell’inquirente che non ha fatto il suo dovere, mi sono ritrovata a Catanzaro, dove ho incassato la solita presa in giro del tipo “non si preoccupi, la sua denuncia sarà vagliata con la massima attenzione”;
  • “la Procura di Catanzaro, di sua sponte ha mandato a Salerno (poiché quella P.M. da me denunciata era andata in forze lì) e a Salerno si è registrato il medesimo copione per cui la P.M., avendo capito che le mie accuse ai tarantini erano fondate, ha detto che lei non è competente a vagliarle, limitandosi ad assolvere la Collega potentina che aveva trattato a modello 45 il mio procedimento contro i giudici jonici. Però al tempo stesso, pur nella sua incompetenza da sé riconosciuta, che quindi presupponeva il non aver potuto vagliare nulla di ciò che io avevo denunciato, mi ha indagata per calunnia poiché io avrei accusato i giudici di Taranto sapendoli innocenti. E a quel punto è evidente che, se mi ha indagata perché io ho accusato i tarantini sapendoli innocenti, ella ha effettuato un vaglio di quei fatti (perché non avrebbe potuto dire che sono innocenti senza conoscere i fatti oggetto dell’accusa) e quindi ha commesso un reato contro l’amministrazione della giustizia affermando la sua incompetenza e non esprimendosi in nulla sul merito delle mie accuse; però se non lo ha effettuato quel vaglio, perché incompetente (come ella ha detto) allora ha commesso abuso (e reato) indagando me per calunnia. In un caso o nell’altro la condotta della P.M. salernitana è foriera di responsabilità penale, ma il famoso P.M. WOODCOCK questa responsabilità non l’ha vista, dicendo che non è bene denunciare a catena”;
  • “ma a questo punto la domanda nasce spontanea: se non è bene denunciare, cosa si fa in casi come questi? A chi ci si deve rivolgere? Per amor del vero, l’avvocatella è pure d’accordo con il P.M. sul fatto che non si denuncia a catena, ed anche per questo avevo chiesto appuntamento al P.M. per un’audizione personale, per capire come far finire questa catena. La mia richiesta di audizione, però, non ha avuto nessuna risposta e così il colloquio non c’è stato (e devo dire che ho anche pensato che la fondatezza delle mie doglianze forse lo creava una sorta di disagio). Tuttavia devo evidenziare che, sbirciando gli atti del fascicolo trattato dal P.M. ho visto che lui mi aveva accordato disponibilità, ma quella mail di risposta, con la disponibilità del P.M., a cui avrei dovuto replicare, purtroppo non mi è mai giunta perché la sua segretaria l’ha inviata a un indirizzo errato, nel quale mancava il suffisso avv. che nel mio indirizzo di posta elettronica precede il mio nome e cognome. E così io ho perso un’occasione! Ed ora che ci rifletto, sorrido e penso che forse, tra eliminazione del suffisso avv. ed epiteto avvocatella, il mio essere avvocato per qualcuno va rimosso o cancellato”;
  • “e chiudo con un tono grigio scuro, che se con la città dei mille colori contrasta un po’ non stride per nulla con i modi con cui la giustizia è in essa amministrata. Ed è quello per cui siamo arrivati al punto in cui la gente comune, che incappa nella giustizia e ne fa le spese, pensa che la malavita agisca con più rispetto: il che è solo follia di un sistema che si è davvero ammalato e che necessita di un netto ed immediato STOP! E avoglia a sentire parlare il Presidente MATTARELLA di imparzialità e legalità della magistratura, per la credibilità perduta che deve essere recuperata; nulla accade se di fatto non ci sono controlli (efficaci) e sanzioni (reali), nulla accade… ed è anche per questo che un famoso P.M. della procura più grande d’Italia non ha disdegnato epitetare con avvocatella un piccolo avvocato di provincia di Taranto che ha il solo torto di fare il suo dovere, magari non proprio male, e di essere tenace, forse un po’ di più”!

Foto…, tratta da… www.basilicata24.it!