Era in uno stato di denutrizione e di indebolimento fisico tale da ricordare le immagini dei deportati ad Auschwitz e negli altri campi di concentramento: un paragone che è stato fatto anche in aula, a Torino, quando sono state mostrate le foto di Marco (il nome è di fantasia, ndr), durante il processo nel quale una madre era imputata per maltrattamenti e lesioni aggravati nei confronti del figlio disabile

LA DONNA E IL SUO COMPAGNO SONO STATI CONDANNATI A CINQUE ANNI E QUATTRO MESI, CON GIUDIZIO ABBREVIATO

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Testo…, tratto da… www.gazzettadelsud.it!

Era in uno stato di denutrizione e di indebolimento fisico tale da ricordare le immagini dei deportati ad Auschwitz e negli altri campi di concentramento: un paragone che è stato fatto anche in aula, a Torino, quando sono state mostrate le foto di Marco (il nome è di fantasia, ndr), durante il processo nel quale una madre era imputata per maltrattamenti e lesioni aggravati nei confronti del figlio disabile.

La condanna
La donna e il suo compagno sono stati condannati a cinque anni e quattro mesi, con giudizio abbreviato. Il procuratore aggiunto Cesare Parodi aveva chiesto una pena a sei anni. Una storia agghiacciante, quella ripercorsa durante l’udienza. Fatta di violenze e di sopraffazione, dove la vittima era un ragazzo (che oggi ha 24 anni), affetto da un ritardo cognitivo. Affamato al punto che era stato costretto a cercare cibo tra i rifiuti dei vicini, nel bidone dell’umido in giardino. A raccontarlo erano stati proprio loro, chiamati a testimoniare.

Le condizioni di Marco
Durante la sua requisitoria Parodi, che da anni si occupa di tutela delle fasce deboli, aveva affermato che in rari casi aveva visto «un quadro così drammatico: sarebbe stata questione di ore, non di giorni, e questo ragazzino sarebbe morto. Era ridotto così pelle e ossa che io ho visto immagini del genere solo nei campi di concentramento». Il giovane era arrivato all’ospedale di Pinerolo, nel Torinese, in condizioni disperate nell’agosto del 2021. Aveva delle ecchimosi sul corpo e un orecchio da cui uscivano dei vermi per via di una grave infezione, causata dalle precarie condizioni igieniche. Marco pesava appena trenta chili ed era entrato in coma. Era stato curato per alcuni mesi.

L’affido e la condanna
Una volta dimesso, il ragazzo è stato affidato a una comunità alloggio, dove vive oggi, mentre la madre, che ha altre due figlie, e il suo compagno erano finiti sotto inchiesta, accusati in concorso, per avere – si legge nel capo d’accusa – sottoposto il giovane a “una serie di condotte violente», e di «sopraffazioni e privazioni materiali di cibo». Marco sarebbe stato anche legato al letto con delle cinghie, i cui segni sono stati riscontrati dai medici. Durante il procedimento è stato ascoltato in audizione protetta.

La testimonianza di Marco
“Ha raccontato che gli impedivano di mangiare, che il frigorifero era chiuso con un lucchetto – spiega l’avvocata del ragazzo, Emanuela Martini – Marco non ha mai espresso che cosa gli hanno fatto realmente, ma ha raccontato la paura che ancora aveva del compagno della donna». Invece per la madre, difesa dall’avvocata Isabella Fiorillo, Marco prova ancora un grande affetto e i due si vedono in comunità. «La donna ha sempre detto che non si era accorta di nulla – spiega Emanuela Martini – che erano una famiglia normale». Stessa versione da parte di quello che ora è divenuto il suo ex, difeso dall’avvocata Marilina Pecoraro. A lui la madre avrebbe affidato Marco quando lei andava a lavorare.

Le decisioni del giudice
Oltre alla pena detentiva, il giudice ha disposto la sospensione della potestà genitoriale per la madre e una provvisionale di 25mila euro a favore del ragazzo.